I vari approcci psicoterapeutici

Dal disagio psicologico alle difficoltà psicoeducative: un team di esperte di formazione diversa e con esperienze professionali differenziate, cercherà di rispondere ai vostri quesiti e ai vostri dubbi.

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I vari approcci psicoterapeutici

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LA PSICOTERAPIA COGNITIVO COMPORTAMENTALE

Storia e riferimenti scientifici

La psicoterapia Cognitivo-Comportamentale nasce agli inizi del Ventesimo secolo dalla tradizione scientifica della psicologia sperimentale, in particolare dagli studi di J.B. Watson e I.P. Pavlov, fondatori della corrente teorica del "comportamentismo", che si proponeva di costruire una scienza psicologica che condividesse le caratteristiche di esattezza e obiettività tipiche delle scienze più avanzate, quali la biologia e la fisica. Tale scopo fu raggiunto limitando il proprio oggetto di indagine a ciò che è intersoggettivamente osservabile, vale a dire il comportamento; veniva invece messo da parte lo studio sui processi mentali, in quanto non esistevano strumenti scientifici per condividere le osservazioni in maniera univoca.

A partire da questi studi, furono applicate al campo della sofferenza mentale una serie di tecniche di modificazione del comportamento, di diretta derivazione dalla ricerca sperimentale, il cui insieme verrà definito "terapia comportamentale". La caratteristica di queste metodologie è la misurabilità dei risultati e dell'efficacia, che ha permesso di stabilire delle precise indicazioni tra categorie di problemi e tipo di tecnica (nevrosi d'ansia e fobie, problemi di comportamento e apprendimento nei bambini, enuresi ed encopresi, riabilitazione di soggetti con handicap fisici e psichici).

Nel frattempo, l'evoluzione della ricerca scientifica in psicologia compie, intorno agli anni '60, grossi progressi, soprattutto grazie all'introduzione delle prime sperimentazioni di simulazione dei processi mentali tramite computer. Questa innovazione ha permesso il superamento dei limiti del "comportamentismo", in quanto è ora possibile costruire dei modelli della mente (vale a dire delle teorie che spiegano come avvengono determinati processi mentali o "cognizioni", quali la comprensione del linguaggio, il ragionamento matematico, la memoria, la produzione di emozioni, ecc.), tradurli in un programma per computer, verificare il loro funzionamento nella macchina, e in base alla capacità della simulazione di riprodurre più o meno esattamente le prestazioni dell'uomo trarne delle indicazioni sulla validità della teoria (naturalmente la cosa è talmente complessa che per ora sono poche le funzioni mentali che sono state effettivamente formalizzate e riprodotte in maniera soddisfacente).

Le applicazioni per la terapia di questi progressi sono estremamente importanti, in quanto vengono sviluppate una serie di tecniche che, oltre al comportamento, si propongono la modificazione e il cambiamento dei processi mentali, vale a dire i pensieri e le emozioni; in questo modo l'insieme di metodologie, che vengono ora definite "psicoterapia cognitiva e comportamentale" si presentano efficaci e applicabili ad una vasta gamma di problemi (vedi più avanti), che in precedenza erano difficilmente trattati con le tecniche che si limitavano alla modificazione del comportamento.

Una delle caratteristiche più interessanti di questo insieme di tecniche e delle teorie sottostanti è inoltre l'apertura alle innovazioni provenienti sia dalla ricerca scientifica sia da altre correnti di studio sulla psicoterapia (quali le "teorie psicodinamiche" o le "teorie sistemiche"). Ne è un esempio la recente attenzione e tentativo integrazione all'interno della psicoterapia cognitiva e comportamentale di importanti fattori terapeutici, quali le dinamiche del rapporto tra terapeuta e paziente e il peso degli aspetti interpersonali e familiari correlati alla sofferenza individuale.



Applicazioni cliniche

Attualmente la Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale copre il campo del trattamento di tutti i disturbi mentali: disturbi dell'area nevrotica (disturbi d'ansia, fobie, ossessioni-compulsioni, depressione), disturbi del comportamento alimentare (anoressia e bulimia), disfunzioni sessuali, disturbi di personalità, disturbi da abuso di sostanze, psicosi (disturbo delirante, schizofrenia), problemi psicopatologici dell'età evolutiva, psicopatologia nell'anziano.

Oltre alle applicazioni psicopatologiche le tecniche cognitivo-comportamentali si dimostrano particolarmente efficaci e rapide per aiutare le persone a risolvere difficoltà di adattamento o crisi evolutive (difficoltà nelle relazioni sociali o nel lavoro, ansia da esame, reazioni disadattive al lutto, difficoltà nella coppia o nella gestione dei figli, ecc.), anche attraverso modalità alternative al trattamento psicoterapico (gruppi di auto-aiuto, biblioterapia, terapia on-line).



Metodologia e tecniche

Il terapeuta cognitivo - comportamentale possiede nel suo repertorio una serie di tecniche di derivazione comportamentale, cognitiva e relazionale, che utilizza all'interno della cornice della relazione terapeutica, vale a dire il particolare rapporto tra operatore e paziente, rapporto che viene investito da una progressiva condivisione di senso.

Il formato degli incontri può essere differenziato secondo il tipo di problemi, degli scopi dell'intervento, della opportunità relativa a un particolare momento evolutivo, e può quindi essere costituito da colloqui individuali, da sedute di coppia o familiari, da riunioni di gruppo.

In termini molto semplificati possiamo affermare che l'intervento terapeutico si pone due obiettivi principali: il primo é quello di individuare e definire il tipo di pensiero che accompagna le emozioni negative (per esempio dolore, sconforto, paura); il secondo consiste nel cercare delle modalità alternative, più funzionali, di affrontare le situazioni problematiche. L'adozione di modalità di pensiero più costruttive conduce a una modificazione dell'esperienza emozionale dolorosa. Sarà compito del terapeuta individuare le tecniche più appropriate che potranno aiutare la persona a raggiungere questi obiettivi, mentre sarà compito di quest'ultima impegnarsi durante gli incontri e nella vita reale per seguire le indicazioni dell'operatore.

Per sintetizzare possiamo dire che le caratteristiche pregnanti di questo approccio terapeutico sono:

Mirato allo scopo: all'inizio della terapia, previa una approfondita valutazione diagnostica, vengono concordati gli obiettivi da raggiungere, viene stabilito un piano di trattamento che si adatti alle esigenze del singolo, vengono previsti i tempi e le modalità di verifica per il raggiungimento dei cambiamenti auspicati.
Attivo e collaborativo: terapeuta e paziente lavorano insieme per riconoscere e modificare le modalità di pensiero a partire dalle quali si originano i problemi emotivi e di comportamento. Il terapeuta propone le strategie cognitive e comportamentali per la soluzione dei problemi, il paziente avrà il compito di mettere in pratica le strategie apprese durante gli incontri nello spazio tra una seduta e l'altra.
Centrata sul presente: il lavoro terapeutico, soprattutto quando mirato alla soluzione di sintomi specifici, si basa sull'elaborazione di quello che succede nella vita attuale della persona. L'attenzione al passato e alla "storia" personale è sicuramente importante in fase diagnostica e in alcune categorie di intervento, ma normalmente la terapia cerca innanzi tutto di far uscire il paziente dai paradossi mentali in cui è caduto.
A breve termine: in genere gli interventi variano, in funzione del tipo di problema, dai tre ai dodici mesi. In ogni caso i cambiamenti vengono monitorati a scadenze prestabilite in partenza, ed è quindi possibile la valutazione dell'efficacia dell'intervento.
Integrabile e flessibile: nei casi di particolare gravità si presta, per le ragioni viste sopra, a sinergie con il trattamento psicofarmacologico; rappresenta inoltre un riferimento teorico e strategico centrale nei programmi complessi di riabilitazione psicosociale per pazienti psichiatrici.
Efficace a lungo termine: come già affermato in precedenza le tecniche cognitivo-comportamentali si prestano facilmente a una misurabilità dei risultati che riescono ad ottenere. Le ricerche effettuate finora, in studi replicabili, dimostrano che, per una vasta gamma di disturbi, i cambiamenti ottenuti con queste tecniche si mantengono a lungo nel tempo.



(Dott. A.M Corato)

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PSICOANALISI

Cos'è la psicoanalisi? E' uno dei tanti orientamenti teorici della psicologia. E' una scuola fondata da Sigmund Freud tra la fine dell'800 e l'nizio del '900 e sviluppata dai successori, come Jung, Adler, Klein. E' molto conosciuta dal grande pubblico, per il valore di alcune intuizioni, ma anche perchè è stata usata (e abusata) in molti film o romanzi. Da diversi anni la psicoanalisi è sottoposta a serie critiche, sia sulla sua teoria che sulla pratica clinica, ma il contributo che ha dato alla psicologia è certamente meritevole ancora di attenzione..
Il lavoro terapeutico è centrato sui processi inconsci del vissuto in relazione al momento attuale, si lavora sulle resistenze e sul transfert soprattutto quando questi rappresentano un disturbo. Per gli psicoterapeuti di indirizzo psicoanalitico il sintomo manifestato dal paziente è la conseguenza di un conflitto inconscio dovuto alla creazione di fantasie negative costruite per proteggere il proprio Sè dall'emersione del ricordo di uno o più eventi traumatici. Per poter sopravvivere ai conflitti inconsci l'individuo sviluppa delle difese di tipo psicologico (ad esempio la rimozione); il sintomo rappresenta l'espressione somatica di tale conflitto. Il trattamento da questo punto di vista consiste nel attivare una terapia analitica con un setting rigido al fine di favorire lo sviluppo del transfert, cioè l'espressione di una la corrente pulsionale che viene a stabilirsi tra paziente e terapeuta, il soggetto attiverà nelle sedute una rappresentazione inconscia di stili relazionali primari patologici. L'interpretazione del transfert e delle libere associazioni prodotte in seduta cercherà di favorire la chiarificazione delle cause e dei conflitti per permettere al soggetto paziente di modificare i propri stili relazionali al fine di ottenere una ristrutturazione del proprio sè il più funzionale possibile alla sopravvivenza e al più corretto adattamento alla vita sociale e relazionale. Lo scopo del trattamento psicoanalitico non è la cura del sintomo, ma la possibilità di ottenere il più alto grado di ristrutturazione del Sè del paziente che è spesso il massimo che il paziente può ottenere per poter riprendere un funzionamento non patologico.


Storia e cenni teorici

Brevi note sulla Psicoanalisi e sulla Società Psicoanalitica Italiana (dal sito della SPI)

"Psicoanalisi" è il nome: 1) di un procedimento per l'indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe impossibile accedere; 2) di un metodo terapeutico (basato su tali indagini) per il trattamento di disturbi nevrotici; 3) di una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica". Così Sigmund Freud, nel 1922, descriveva la psicoanalisi che iniziava a diffondersi nel mondo culturale.
Gli Studi sull'Isteria (1892-95) e L'Interpretazione dei Sogni (1899), avevano inaugurato questo nuovo strumento di indagine del mondo inconscio e di cura della sofferenza psichica. A Vienna, intorno a Freud si andò formando il primo gruppo di allievi; negli anni successivi si assistette ad un rapido sviluppo della disciplina e ad un aumento significativo del numero degli analisti che spinse Freud a fondare nel 1910 l'International Psychoanalytical Association definendo così i criteri di formazione dei futuri analisti basati sull'analisi personale, le supervisioni, i corsi clinico-teorici. In quel periodo si vennero formando le prime società psicoanalitiche che aderiranno all'I.P.A.
La psicoanalisi entrerà in Italia passando e sostando a Trieste, città di confine, crocevia di differenti culture, attraversata da intensi fermenti artistici e letterari. A Trieste Edoardo Weiss, analizzato da Federn, allievo di Freud, diede impulso decisivo al sorgere e al primo sviluppo della Società Psicoanalitica Italiana che era stata fondata a Teramo nel 1925 da Marco Levi Bianchini, libero Docente presso l'Università di Napoli, Direttore dell'Ospedale Psichiatrico di Teramo.
Nel 1932 la S.P.I. fu trasferita a Roma e riorganizzata da Weiss che, nello stesso anno fondava la Rivista di Psicoanalisi, che è tuttora l'organo ufficiale della S.P.I. Nel 1936 la Società Psicoanalitica Italiana venne riconosciuta dalla'I.P.A. come società componente.
Durante il periodo fascista alcuni analisti saranno vittime di persecuzioni razziali e costretti ad emigrare; la Società fu sciolta nel 1938. L'attività riprese nel 1946.
In quel periodo spiccavano le figure di Cesare Musatti, Nicola Perrotti, Emilio Servadio e Alessandra Tomasi di Palma che contribuiranno, anche in seguito, alla divulgazione e al progresso clinico-teorico della psicoanalisi.
Nel dopoguerra la diffusione della psicoanalisi in Italia fu lenta, ma negli anni '60 e '70 si assistette ad un forte sviluppo in relazione a profondi mutamenti della Società e della cultura italiana. In particolare, la messa in discussione, in campo psichiatrico della tragica realtà dei manicomi, portò ad una presa di coscienza collettiva del disagio psichico restituendo dignità all'uomo e alla sua sofferenza. La caduta di pregiudizi culturali favorì lo sviluppo della psicoanalisi. L'evoluzione della S.P.I., del resto è stata sempre in relazione sia a mutamenti sociali e culturali esterni sia a trasformazioni interne al movimento psicoanalitico italiano.
Di queste trasformazioni ne sono testimonianza le principali modifiche dello Statuto e dell'assetto societario avvenute nel 1961, nel 1974 ed infine nel 1992. Quest'ultima ha definito l'assetto attuale della S.P.I. che conta oggi 620 Soci e 294 Candidati: per numero di componenti la S.P.I. è la seconda Società in Europa. L'attività scientifica si svolge nei 10 Centri ed è coordinata dalla Commissione Scientifica Nazionale. Nei Centri sono attivi i gruppi di ricerca e i Servizi di Consultazione, aperti all'esterno.
La formazione degli allievi è affidata all'Istituto Nazionale di Training che opera attraverso quattro Sezioni Locali (Prima Sezione Romana, Seconda Sezione Romana, Sezione Milanese e Sezione Veneto-Emiliana). Compito delle Sezioni è l'attuazione dei corsi teorici e l'addestramento clinico con le supervisioni.
Le Commissioni Nazionali regolano l'ammissione dei nuovi allievi e la loro formazione fino alla valutazione conclusiva.
L'Istituto Nazionale del Training della Società Psicoanalitica Italiana nel gennaio del 2000 ha ottenuto il riconoscimento da parte del Ministero competente (M.U.R.S.T).
Alla Rivista di Psicoanalisi, si affianca una seconda pubblicazione ufficiale, Psiche, Rivista di Cultura Psicoanalitica che ha lo scopo di favorire l'incontro della psicoanalisi con altre discipline.
Nel lontano 1926 Freud scriveva: "In quanto "psicologia del profondo" o dottrina dell'inconscio psichico la psicoanalisi può divenire indispensabile per tutte le scienze che studiano la storia delle origini della civiltà e delle grandi istituzioni, come l'arte, la religione e l'organizzazione sociale".
Lo sviluppo della psicoanalisi nel '900, ha realizzato il progetto freudiano. L'ambito dell'applicazione clinica della psicoanalisi si è estesa alle psicosi, ai bambini, agli adolescenti, ai gruppi.
Il pensiero di Freud è stato ampliato dalle ricerche e dalle opere di Ferenczi, Klein, Winnicott, Bion, Green e numerosi altri psicoanalisti.
Quanto poi alle altre discipline, l'incidenza della psicoanalisi è stata quanto mai vasta: basta pensare alla linguistica, antropologia, filosofia, sociologia, letteratura etc…
Dalla psicoanalisi di Freud, in tal modo, è nata non solo una cura ma anche un insieme di saperi, che hanno contribuito, al pari di altri saperi, allo sviluppo della civiltà umana.
Le società psicoanalitiche hanno preservato e arricchito nel tempo questo straordinario patrimonio, contribuendo a delineare diverse forme e stili di psicoanalisi in relazione alle differenti matrici culturali e linguistiche, possiamo così parlare di psicoanalisi americana, francese, inglese, italiana. Quest'ultima si presenta molto ricca e con diversi indirizzi e tradizioni di ricerca.
Molto sentita è una riflessione metodologica ed epistemologica sui fondamenti e sugli sviluppi teorici. Un altro ambito clinico-teorico che ha caratterizzato la S.P.I. negli ultimi venti anni è lo studio e la ricerca sulla "relazione analitica" che si instaura tra analista e analizzando, relazione indagata nei suoi versanti consci e soprattutto inconsci.

La psicoanalisi è sorta più di un secolo fa, in un momento di profonda trasformazione della civiltà. Ora ci troviamo ad affrontare nuovi e complessi problemi di civilizzazione che incidono sulla vita psichica e sul suo sviluppo, segnano la condizione umana, modellano le forme che assume il dolore psichico.
Per il movimento psicoanalitico internazionale si prospetta un impegno che è insieme terapeutico, etico e culturale.
La S.P.I. potrà affrontare questa sfida attingendo alla singolare capacità della psicoanalisi italiana di saper coniugare il rigore metodologico, la riflessione sui propri fondamenti, con la tensione a rinnovarsi aprendosi, con nuove ipotesi e sviluppi, al mondo contemporaneo e al suo divenire.

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LA PSICOTERAPIA SISTEMICO-RELAZIONALE E TERAPIA FAMILIARE
(ps. la mia specializzazione)

La terapia della famiglia, alla base della terapia sistemica, ha un'origine multicentrica radicata in teorie, ambienti e personalità differenti. La prassi dell'affrontare i problemi psicologici nel contesto familiare emerse sulla scena americana. Ebbe inizio nel secolo scorso, intorno alla metà degli anni cinquanta: pragmatismo, fiducia nella fondamentale sanità e capacità di autorealizzazione dell'individuo sono gli elementi culturali caratterizzanti che costituirono il terreno di coltura per lo sviluppo della terapia familiare. Le premesse dello sviluppo di questo approccio di cura sono comunque rintracciabili in un periodo precedente, nell'ambito dei cambiamenti sociali e teoretici che avvenivano nel campo della psicologia.
Dall'intrapsichico al relazionale
La terapia della famiglia andò sviluppandosi partendo dal paradigma predominante della psicoanalisi e dal modello medico psichiatrico: il bisogno di trattamento dei pazienti sembrava portare oltre la stanza di lavoro della psicoanalisi e reclamare risposte a problemi che non riuscivano a trovare soluzione in un'ottica puramente individuale.
I primissimi approcci psicoterapeutici prevalenti nel 20° secolo si sono focalizzati sulla terapia individuale e sulla relazione paziente - terapeuta, ritenuti il metodo migliore per affrontare e trattare i problemi psicologici. Fiducioso esclusivamente del rapporto duale tra analista e analizzando, Sigmund Freud scomunicava senz'altro ogni forma di analisi simultanea, ritenendola inutile o fonte di resistenze. Fondamentalmente l'originario impianto psicoanalitico poneva al centro della prassi clinica un'ipotesi secondo cui i problemi psicologici individuali sono il risultato dell'elaborazione dei conflitti e delle interazioni conflittuali o distruttive vissute a partire dall'infanzia all'interno della famiglia d'origine; in fin dei conti l'analisi potrebbe risultare molto più efficace, se fosse possibile condurla idealmente in isolamento dalle influenze nocive di genitori e parenti. La teoria freudiana, forte e di tipo descrittivo, in questo modo traccia e ricerca le soluzioni del problema nella psiche dell'individuo.

Il complesso di Edipo rappresenta in fondo il nucleo relazionale, se non familiare, contenuto nella psicoanalisi. Il triangolo espresso dall'Edipo venne però considerato da Freud unicamente per le sue conseguenze nella psiche dell'individuo e non si tramutò in una base per lo sviluppo di una teoria interpersonale e interazionista.

Molto sinteticamente, la psicoanalisi è un percorso di consapevolezza che mira a far emergere alla coscienza fatti, emozioni, sentimenti e contenuti rimossi, cioè sepolti e dimenticati nell'inconscio. Lo psicoanalista tende a ricercare spiegazioni, nella convinzione forte che ciò equivalga a risolvere il problema. Il percorso psicoanalitico può produrre effetti terapeutici, ma i tempi di risoluzione, sia per il setting particolare applicato che per l'orientamento al problema, sono spesso molto lunghi, tanto che le altre psicoterapie, come quella sistemica, sono definite brevi.

L'avvento della terapia familiare inaugurò un modo completamente diverso e nuovo di osservare e spiegare il comportamento umano. I terapeuti familiari svilupparono l'idea che i problemi psicologici nascono e vivono nel contesto sociale della famiglia.

Questa nuova prospettiva concettuale spostò la responsabilità per i problemi e il fulcro del trattamento dal mondo individuale interno del paziente alla famiglia intera, rendendo possibile il passaggio dall'intrapsichico al relazionale.

Ad esempio, osservare semplicemente i rapporti di ingresso - uscita, cioè la comunicazione all'interno della famiglia (danza relazionale), permette di poterne ipotizzare lo stato attuale e di interagire con essa, senza la necessità di ricorrere a una ipotesi intrapsichica; nella teoria sistemica l'intrapsichico appare fondamentalmente inverificabile, ogni ipotesi determinata dal punto di vista dell'osservatore e inerente alla parte non direttamente osservabile dell'organizzazione umana.

Sistema e nuove teorie della conoscenza
I fatti umani cominciarono a essere descritti in termini di schemi interattivi di comportamento. I modelli biologico e psicoanalitico patrocinavano invece un modello causale di comprensione della patologia di tipo lineare, che enfatizzava la disfunzione interna e non considerava appieno la natura reciproca delle relazioni interpersonali.

I terapeuti familiari sostennero l'idea che i problemi psicologici potessero venire meglio spiegati in termini di eventi circolari, caratterizzati dal loro periodico ripresentarsi, dalla loro mutua influenza e dal sistema, il contesto interpersonale in cui essi nascono, si sviluppano e si mantengono in equilibrio. Il sistema può essere a tutti gli effetti considerato l'idea fondante lo specifico della terapia familiare: senza l'idea di sistema e l'accento su di essa, la terapia della famiglia non avrebbe potuto che far riferimento a teorie e tecniche individuali.

Le nozioni provenienti dalla nascente cibernetica, ossia la scienza dei sistemi ad autoregolazione quali i servomeccanismi, le conseguenti riflessioni di Gregory Bateson, che riteneva che a un certo livello di struttura ci sia una congruenza tra le leggi che regolano eventi di tipo diverso e gli studi del Mental Research Institute di Palo Alto (MRI), fornirono una metafora adeguata a spiegare il funzionamento osservabile dei sistemi umani.

Alla teoria cibernetica della conoscenza nella forma indicata da Heinz von Foerster, cioè una scienza che include l'osservatore e all'idea di sistema si affianca, nella moderna terapia sistemica, l'epistemologia costruttivista, per la quale non esiste un'unica realtà ontologicamente vera, ma tante realtà soggettive che variano a seconda del punto di vista adottato. La realtà è considerata il prodotto della prospettiva, degli strumenti conoscitivi e del linguaggio attraverso i quali la possiamo percepire e comunicare. Nelle parole di Maturana, ci sono tante realtà (multiversi) quanti sono i linguaggi e ogni sistema vivente è fondamentalmente chiuso e ripiegato su sé stesso nel generare la propria organizzazione.
Linguaggi diversi possono condurre a differenti rappresentazioni della realtà; costruzioni della realtà diverse producono realtà differenti. L'immagine del mondo di un individuo si limita solitamente a una singola interpretazione statica: l'immagine del mondo che gli appare l'unica possibile, ragionevole o consentita, che connota la sua storia personale e anche ciò che reputa l'essenza della sua individualità. Questo fatto è interpretabile come un riflesso del sistema culturale predominante, che promuove perlopiù la pretesa universalità dei modelli psicologici che ricercano una spiegazione del comportamento in termini di motivazioni o impulsi.

Un po' di storia

Terapia sistemica
Il gruppo di Milano
Mara Selvini Palazzoli (1916 - 1999), psichiatra e psicoanalista infantile, che lavorava già da molti anni con bambini anoressici, all’inizio del 1971 fondò il Centro per lo Studio della famiglia a Milano. Le teorie del centro erano basate sulla psicoanalisi ma i terapeuti che vi lavoravano stavano avvertendo un certo malessere nel vedere gli individui da soli. Per questo motivo cominciarono a incontrare quegli individui insieme agli altri componenti della famiglia. Il risultato fu l'estrema complicazione che comportava considerare tutti i transfert combinati dei vari membri della famiglia e questi combinati con quelli dei terapeuti. Gli psicoanalisti di quel centro, destinato a diventare famoso, videro le famiglie una, due volte alla settimana per diversi mesi e con la sensazione di non arrivare a nulla, diventando sempre più confusi.

Quando fu pubblicata la letteratura della scuola di Palo Alto avvenne un cambiamento radicale. Nel 1971, delle otto persone in organico, dopo vari litigi e discussioni, restarono infine coloro che decisero di adottare sperimentalmente il nuovo modello sistemico - relazionale: Mara Selvini Palazzoli, Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin (1932 - 2004) e Giuliana Prata. Boscolo, tra l'altro, aveva già avuto una prima esperienza di terapia della famiglia a New York con Nathan Ackerman, che insegnava Psicoanalisi della famiglia al terzo anno del Corso di Psicoanalisi presso il New York Medical College. I quattro chiesero di essere supervisionati dietro lo specchio a Paul Watzlawick che, dopo un anno, li legittimò come terapeuti strategico - sistemici della famiglia.

Il primo passo, per quello che diventerà famoso come il gruppo di Milano, fu il distacco definitivo da tutti gli elementi del pensiero psicoanalitico e quindi l’adozione del modello strategico - sistemico del Mental Research Institute, connotato dall'esclusivo interesse per la comunicazione e la relazione nel qui e ora. I quattro cominciarono a esercitarsi a modificare il proprio linguaggio, ad esempio sostituendo il verbo essere con i verbi mostrare, apparire, sembrare. Si aiutavano reciprocamente per non cadere nell'idea di descrivere l'individuo, limitandosi ai rapporti, alle relazioni. In questo modo ogni cosa che avveniva si trasformava in un comportamento e ogni comportamento diventava un messaggio. Da qui venne la domanda spontanea: un messaggio per chi? Ed ecco nascere lentamente un nuovo modo di vedere la circolarità del sistema.

Ogni famiglia sembrava avere un tipo di relazione particolare che includeva comportamenti e rituali, anche minimi, di continuità. I quattro terapeuti iniziarono a porsi domande e a sviluppare curiosità per il funzionamento di ogni particolare sistema con cui si trovavano a interloquire. La fantasia che andava sviluppandosi in loro era riuscire a fare una diagnosi del gioco familiare in atto.

Gli interventi si basavano sulla connotazione positiva di tutti i comportamenti osservabili, una delle invenzioni più originali del gruppo e sulla prescrizione dei rituali familiari. Da una parte la connotazione positiva del sistema ne includeva e riassumeva tutte le manifestazioni in qualcosa di organico, compiuto e sensato; dall'altra il rituale era uno strumento pensato per sconvolgere i comportamenti abituali dei membri della famiglia; l'idea guida era che cambiando i comportamenti sarebbe cambiato anche il tipo di relazione.

Il rituale, maggiormente solenne e teatrale delle prescrizioni strategiche, pone la famiglia nella condizione di agire in modi diversi da quelli che hanno condotto alla sofferenza e ai sintomi, ponendo sullo stesso piano nella sua esecuzione tutti i membri. È spesso criptico, in modo tale che la famiglia possa attribuirvi i suoi significati e definisce un tempo nettamente distinto da quello della vita quotidiana. Prescrizioni come il rituale possono toccare e scuotere una famiglia e rompere il fronte unitario che essa presenta al terapeuta.

Gli interventi che il gruppo di Milano attuava inizialmente sono paragonabili a sonde che entrano nel sistema, a cui esso non può non rispondere. L'ipotesi del terapeuta sistemico, con il suo potere di organizzazione, deve essere circolare e relazionale, dare senso al contesto relazionale della famiglia, organizzando tutti i dati confusi e relativi a un sintomo in modo tale che tutti i pezzi combacino. Ma esiste un'ipotesi vera, un unico gioco familiare da scoprire? Il passaggio successivo dello sviluppo della terapia sistemica fu arrivare a teorizzare l'esistenza di tante verità, quante sono le posizioni e i punti di vista.

Coerentemente a una visione sistemico - cibernetica, basata sul concetto di causalità circolare e sul principio della retroazione, il sintomo era considerato come un comportamento in risposta ai tentativi di soluzione da parte degli altri membri della famiglia. Agli inizi l'obiettivo della terapia era semplicemente la modifica, o meglio, la rottura dei pattern comportamentali familiari connessi ai problemi presentati, rendendo possibile l'emergere di nuovi pattern più funzionali. L'obiettivo era, in altre parole, il problem solving, cioè la semplice eliminazione dei sintomi; il metodo ignorava così la persona nella sua totalità e i sistemi di significato in cui è immersa. Questo modello, che sapeva di behaviourismo e riduzionismo, lasciava in fondo perplessi i terapeuti ma i risultati, a volte incredibili, che venivano ottenuti in poche sedute, spinsero il gruppo ad andare avanti.

Milan ApproachNel 1972 fu pubblicato Verso un’ecologia della mente, sintesi definitiva del pensiero di Gregory Bateson, la cui lettura portò il gruppo di Milano a superare la visione strategica e sviluppare quel purismo sistemico che cominciò a essere riconosciuto nel mondo come modello di Milano (Milan Approach), accreditato infine come un approccio dalla struttura unica e originale, il modello per eccellenza di terapia sistemica.

Il gruppo era incuriosito dalla conversazione terapeutica, dal processo di domanda e risposta che veniva messo in atto. Nacquero così le domande circolari, domande che riguardano una differenza e definiscono una relazione. L'accento sul discorso terapeutico portò a un'attenzione puntuale ai dettagli discorsivi e alle scelte terminologiche. Le tecniche di colloquio e d'intervento inserivano costantemente interpunzioni che sottolineavano la differenza e la circolarità.

Il gruppo di Milano sviluppò inoltre in modo distintivo il concetto di neutralità: la neutralità, cioè la capacità di sfuggire le alleanze con i membri della famiglia, di evitare i giudizi morali e di resistere ai coinvolgimenti lineari, l'atteggiamento impassibile pur se rispettoso, è ciò che conferisce all'èquipe terapeutica il potere di essere efficace. L'atteggiamento del terapeuta di accettazione dell'organizzazione del sistema così com'è, accompagnato da una certa curiosità, viene a caratterizzarsi già di per sé come un intervento.

La scissione del gruppo
Nel 1980 il gruppo di Milano era ormai scisso: da una parte per la decisione che accomunava solo Boscolo e Cecchin di dare vita a un percorso di formazione alla terapia della famiglia, dall'altra perché la storia di un'èquipe di personalità così forti condusse il gruppo originario a una progressiva definizione e differenziazione dei propri interessi e aspirazioni. Selvini Palazzoli e Prata iniziarono a occuparsi prevalentemente del sistema osservato (la tipologia familiare), Boscolo e Cecchin del sistema osservante (il terapeuta e l'èquipe terapeutica).

Mara Selvini Palazzoli e Giuliana Prata
Mara Selvini Palazzoli formò una seconda èquipe con Giuliana Prata e Maurizio Viaro, dal 1979 al 1982 e una terza e ultima con il figlio Matteo Selvini, Stefano Cirillo e Anna Maria Sorrentino. L'interesse era centrato sul passato della famiglia, sulla trasmissione intergenerazionale di pattern che creano sintomi e sulle modalità di correzione del complesso della situazione relazionale. Fu il periodo dell'invenzione della prescrizione invariabile, elemento costante della terapia contro cui ogni membro della famiglia agisce in modo leggermente differente, permettendo al terapeuta di mettere a fuoco l'individuo e di valutare il suo apporto al gioco familiare e del nuovo concetto di imbroglio familiare, il cui significato si situa a metà tra intrico, confusione e truffa vera e propria. Il lavoro di ricerca, il cui valore fu riconosciuto nel 1985 dal premio per la ricerca in terapia familiare dell'AAMFT (American Association of Marital and Family Therapy), condusse a un modello a sei stadi della genesi familiare delle psicosi.

Il lavoro della Selvini e della sua èquipe fu però criticato nel 1986 sulla stessa rivista dell'AAMFT da Carol Anderson, leader del gruppo che ha inventato il termine psicoeducazione, avversa a quelle che reputò le irragionevoli speranze di guarigione offerte dalla terapia della famiglia alle famiglie degli schizofrenici: la Anderson definì la ricerca della Selvini come un viaggio troppo breve dalla connotazione positiva a quella negativa, alimentando una polemica che alla fine non risultò favorevole alla Selvini Palazzoli, la cui influenza sulla terapia familiare mondiale iniziò da quel momento a declinare.

Mara Selvini Palazzoli fondò nel 1982 il Nuovo Centro per lo Studio della Famiglia. La specialità del centro, la cui esperienza è particolarmente ricca nel campo dell'anoressia e della bulimia e dei disturbi della personalità, è quella di affrontare quei problemi per i quali il paziente è poco o per nulla motivato ad attivarsi. La scuola della Selvini è quindi tornata alla descrizione della malattia e ha reintrodotto la diagnosi, collegandosi alla prospettiva psichiatrica tradizionale e sottolineando la necessità dell'attività di giudizio clinico sull'evoluzione futura della malattia (prognosi), ricercando lo specifico ambiente relazionale in cui la diagnosi può essere sviluppata.

Giuliana Prata dirige dal 1985 il Centro di Terapia Familiare Sistemica e di Ricerca di Milano.

Boscolo e Cecchin: costruttivismo sistemico
Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin iniziarono nel 1977 a gestire corsi di formazione e sensibilizzazione alla terapia familiare sistemica in Italia e all'estero (Europa, Australia, Americhe e Israele). Nel 1981 fondarono il Centro Milanese di Terapia della Famiglia, dedicandosi prevalentemente alla formazione degli operatori e all'evoluzione del modello sistemico.

Dalla metà degli anni ottanta, in seguito alla rivoluzione del costruttivismo, della cibernetica di secondo ordine e del costruzionismo sociale (Maturana e Varela, Von Foerster, Von Glasersfeld, Gergen), lo sviluppo progressivo del Milan Approach da parte di Boscolo e Cecchin ha portato all'idea di co - creazione (tra terapeuti e clienti) di storie alternative e a quella di attribuzione di nuovi significati alla realtà condivisa. Alla luce del costruttivismo sistemico, vengono affrontati i problemi relativi non solo alla famiglia o alla coppia ma anche alla terapia individuale. L’attenzione di Boscolo e Cecchin si è rivolta alle premesse epistemologiche, ai significati, ai sistemi emotivi e alle storie dei clienti. Alla nascita del modello era ancora presente in loro l'idea di una verità dell'ipotesi, la sensazione di andare alla ricerca di qualcosa di reale: nel tempo l'ipotesi è diventata sempre più una costruzione di storie. Il punto centrale dell’interesse terapeutico sono diventate le premesse dei membri del sistema, terapeuti inclusi, rendendo compiuto il passaggio alla cibernetica di secondo ordine. L'obiettivo della terapia si è spostato sempre più verso il cambiamento dei giochi linguistici piuttosto che delle modalità organizzative del sistema dei clienti. Il concetto di neutralità si è evoluto in una neutralità di secondo grado, attraverso l'acquisizione di consapevolezza da parte della figura del terapeuta della propria posizione non neutrale.

Una visione cibernetica di primo ordine nella terapia della famiglia assume che è possibile influenzare un’altra persona o famiglia usando questa o quell'altra tecnica. Una visione cibernetica di secondo ordine comporta che i terapeuti includono essi stessi nel processo, come parte di ciò che può contribuire a creare le situazioni osservate. Questo atteggiamento ha posto di prepotenza, al centro della scena della consulenza e della terapia, l'osservatore e il linguaggio. Si tratta di un osservatore le cui descrizioni del sistema osservato includono ora le sue teorie e e i suoi pregiudizi. Sono quindi apparsi nel linguaggio sistemico concetti quali la costruzione e la co - costruzione della realtà, la soggettività della conoscenza, l'autoriflessività.

Von Foerster ha sostenuto la tesi che il tempo non è un problema per coloro che vivono nel presente e sono volti al futuro. Per Boscolo i pazienti manifestano invece problemi con la variabile tempo, non riuscendo a evolvere armonicamente insieme agli altri. Il tempo è spesso vissuto attraverso il filtro della causalità lineare: il passato impone vincoli deterministici al presente e il presente al futuro. L'azione del terapeuta è volta quindi a introdurre tra le tre dimensioni del tempo una relazione di tipo riflessivo, creando nel presente passati e futuri ipotetici, alternativi. Una lente di osservazione fondamentale è la multitemporalità: è molto importante la coordinazione fra i diversi tempi individuali, collettivi, sociali e culturali; l'assenza di una tale coordinazione può essere all'origine di problemi, sofferenze, patologie.

Per Cecchin la curiosità del terapeuta è una caratteristica del setting molto importante, che sottolinea una volta di più come l'essere umano non può essere in fondo neutrale e diventa attivo quando entra in contatto con gli altri. Inoltre, per lui, un atto terapeutico è spesso un atto di irriverenza verso le idee fisse, soprattutto se appartengono al terapeuta stesso. L'irriverenza è rivolta alle idee forti, rigide, che in qualche modo sono necessarie per un certo periodo di tempo al sistema per sopravvivere, ma che si trasformano in impedimento da un certo momento in poi: sono i pregiudizi. Le idee si rivelano quindi necessarie ma contengono un elemento di rischio. L'utilizzo della parola pregiudizio non necessariamente implica una valutazione negativa del suo significato da parte del gruppo di Milano: i pregiudizi sono inevitabili e si intende valorizzarli, mettendoli al servizio della conversazione che si sviluppa tra le famiglie e i terapeuti, tra questi e i colleghi, tra la famiglia e i suoi membri.

Il lavoro di Boscolo e Cecchin è flessibile e aperto alle più diverse influenze e possibilità inedite, manca di idee normative sulla famiglia, sulla patologia, sulla normalità, rispetta l'autonomia e la complessità del sistema non producendo diagnosi ed è caratterizzato da una persistente spregiudicatezza nel ragionare. L'apertura logica e l'attenzione costante dei terapeuti al rispetto del sistema probabilmente fanno della terapia sistemica il modello più vicino all'applicazione, in campo terapeutico, delle idee di circolarità descritte da Bateson nei suoi scritti. La via non normativa tracciata ha difatti spesso reso problematica la convivenza tra la terapia sistemica e i sistemi sanitari e sociali, che richiedono invece diagnosi e norme chiare. Per la terapia sistemica fare diagnosi significa già indurre patologia.

L'aggiornamento e la revisione delle idee sistemiche da parte degli stessi discepoli del gruppo di Milano ha condotto infine al post Milan Approach, alle correnti terapeutiche narrative e postmoderne. Il postmoderno, in cui il Sé diventa fluttuante, disunito, senza centro, pone una sfida radicale alle ipotesi sulla conoscenza, sulla natura dell'individuo e sull'acquisizione della verità, rifiutando le grandi metanarrazioni, i sistemi globali che spiegano l'esistente, inclusa la stessa teoria dei sistemi.

Gianfranco Cecchin, scomparso in un incidente d'auto nel Febbraio 2004, in un'intervista ha detto che la psicoterapia sistemica avrà certamente un futuro adattandosi strutturalmente ai cambiamenti che avvengono nel sociale, nel pensiero collettivo, nelle organizzazioni delle famiglie, nella cultura in generale.

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Sandra
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La psicoterapia umanistica

La psicoterapia umanistica ha il suo nucleo propulsore negli studi e negli approfondimenti teorici e clinici che derivano dalla psicologia umanistica espressa nelle opere di autori quali A. H. Maslow e C. Rogers. Ma anche psicoanalisti come E. Fromm e psicoterapeuti come Frieda Fromm Reichmann sono stati spesso collocati nell’ambito di una visione "umanistica" dell’intervento psicoterapeutico.
Il nucleo concettuale che accomuna tutti questi clinici è che lo psicologo debba considerare la persona, utente del servizio psicoterapeutico, come un tutt’uno unico ed inseparabile.

Ogni persona si è formata una personalità che, nel bene o nel male rappresenta la sua "natura"; è certamente meglio cercare di conoscere questa intima costituzione del proprio essere, piuttosto che reprimerla o ripudiarla, o nasconderla. Il soggetto è portatore quindi di un conflitto fra questa natura che preme per uscire e la struttura cosciente che tende invece ad isolarla. Da questo conflitto nasce una sorta di "crisi esistenziale" che potremmo chiamare anche col nome di "patologia".

Il terapeuta assume una posizione di "saggio" che, attraverso il contatto umano è in grado di mettere il cliente in grado di superare la crisi esistenziale e di giungere a una maggiore integrazione fra le parti della sua personalità.

Il trattamento di cura consiste soprattutto nel compiere questo percorso col cliente attraverso un training che faciliti l’attuazione delle sue potenzialità e lo renda più autonomo. "Naturalmente - afferma M. Festa - ci deve essere una strategia ed un ‘piano di lavoro’ da intraprendere ovvero un itinerario di crescita adeguato ai bisogni, alla persona e alle sue condizioni peculiari; questo presuppone la formulazione di un quadro, sia per una questione di etica professionale che di rispetto per le giuste necessità di informazione e di ‘controllo’ che vuole avere e a cui ha diritto il cliente".

All’interno del modello umanistico assume una particolare importanza l’approccio di Carl Rogers, conosciuto anche come "terapia centrata sul cliente".
L’ipotesi di base è che ogni persona possegga una forte propensione per la propria "formazione", ha cioé in se stesso un’ampia gamma di possibilità che gli consentono di capire il suo stato d’animo e a modificare il suo comportamento di conseguenza.

Una simile tendenza formativa può essere espressa all’interno di un "ambiente facilitante".

Il terapeuta ha il compito di strutturare un ambiente tale da rispettare la realizzazione di questo "clima facilitante", che induce il soggetto a manifestarsi pienamente in tutte le sue potenzialità e a trarre profitto in termini di benessere da questo. I fattori che consentono questa costruzione sono essenzialmente tre:

1. Egli deve essere autentico poiché solo in questo modo può porsi nei confronti del paziente come uno specchio, senza coprirsi mediante operazioni di mascheramento, anche professionale. Se il terapeuta è sincero il modello relazionale che ispira è quello della sincerità e del rifiuto di ogni forma di ipocrisia. Anche E. Fromm intende la psicoanalisi in questo senso: come modello di relazione smascherante e critica nei confronti di ogni ideologia deformante.

2. Il terapeuta deve far sentire il paziente sempre in una condizione di totale accettazione.

3. La relazione fra terapeuta e paziente deve essere di tipo empatico. Egli deve sentire i vissuti del paziente, farli propri, mettendosi nei suoi panni e quindi avendo la possibilità di osservare la realtà coi suoi stessi occhi. È però necessario che egli ne sappia anche uscire per aiutare il soggetto ad elaborare le esperienze, poiché l’imbroglio emotivo di cui è vittima, rappresenta la causa della sofferenza connessa alla malattia.

Alberto Zucconi, terapeuta rogersiano afferma che "la terapia centrata sul cliente si è dimostrata la prima rilevante alternativa alle terapie psicodinamiche ed ha spostato l’enfasi su ‘questo cliente’ al processo fenomenologico di ‘questo cliente con questo terapista’; la grande importanza data alla creazione di un rapporto genuino, non giudicante e profondamente empatico che vede nel cliente stesso l’agente significante (colui cioé che dà la lettura della realtà), costituisce a mio avviso uno dei migliori esempi di democratizzazione del processo psicoterapico".

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Sandra
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La terapia della Gestalt

Vicina alle posizioni della psicoterapia umanistica si è sviluppata la terapia della Gestalt. Essa possiede in comune con la psicologia umanistica un atteggiamento "olistico" nei confronti della realtà e cioé una concezione globale dell’uomo.

Il suo fondatore, lo psicoanalista Frederick S. Perls, condivide con C. Rogers la convinzione che l’uomo possegga una sorta di natura buona e costruttiva a cui occorre dar modo di esprimersi. La malattia coincide con la negazione di questo aspetto fondamentale della personalità, pertanto la terapia della Gestalt propone esercizi creativi ed espressivi della persona nella sua globalità, piuttosto che concentrarsi su problematiche e conflitti, come avviene nel trattamento psicoanalitico.

Secondo Milton Erickson la malattia del paziente è ciò che lo porta in terapia e la terapia è quell’insieme di interventi che ha come scopo il condurlo fuori.

"Il paziente che arriva per chiedere aiuto - scrivono Fagan e Shepherd nel 1970 - che cerca di relazionarsi con gli altri in modo più adeguato e di riuscire ad esprimere i suoi sentimenti in modo più diretto, viene addestrato ad esprimere ciò che egli sta provando in quel momento verso un’altra persona. Il modo in cui egli si ferma, si blocca o si inibisce, diventa subito manifesto ed egli allora può essere assistito nell’esplorare e nello sperimentare le proprie inibizioni ed incoraggiato a tentare altri modi per esprimere se stesso e per mettersi in rapporto con gli altri. L’approccio generale della teoria e della terapia della Gestalt richiede pertanto al paziente di specificare i cambiamenti che egli desidera apportare a se stesso, lo assiste nell’accrescere la consapevolezza delle frustrazioni che opera su se stesso, lo aiuta a sperimentare e a cambiare. I ‘blocchi’ nella consapevolezza e nel comportamento emergono durante la seduta nello stesso modo in cui essi si manifestano nella vita della persona; l’accresciuta consapevolezza dei propri atteggiamenti di evitamento e il miglioramento quando diventa capace di ampliare la propria esperienza e il proprio comportamento si riflettono immediatamente in aumentate capacità per l’esistenza" (in Davison, Neale,1989).

Possiamo riassumere in tre punti i concetti fondamentali della terapia della Gestalt.

1. Tutta l’esistenza della persona si racchiude nel qui ed ora. Non ha senso la vita passata, se non come ricordo, come rimpianto, come storia che ha condotto comunque ad un presente, ed è il presente che attualizza i percorsi vitali espressi dal soggetto. Anche il futuro è valido nel presente: sotto forma di progettualità, di piani e di prospettive o di possibili conseguenze di scelte avvenute nell’oggi.

2. L’esperienza è direttamente vissuta, sentita, senza bisogno di introdurre alcuna sorta di interpretazione. È questo ciò che i clinici della Gestalt chiamano col nome di "consapevolezza". Questa consapevolezza genuina e spontanea è affrontata dal terapeuta che tenta di plasmarla in direzione del cambiamento. Un cambiamento verso situazioni di vita ecologicamente più adattative.

3. L’ultimo punto riguarda la responsabilità. Ognuno è responsabile, di fatto, di quello che sente, pensa e fa. "La terapia gestaltica dice solo che acettare la verità, riconoscere le responsabilità per ciò che sentiamo, pensiamo e facciamo, è un modo per stare meglio, di guarire almeno dale nostre menzogne. Diventare consapevoli porta ad assumersi delle responsabilità" (B. Simmons). Nella Gestalt, se ad esempio il paziente esprime un "blocco", il terapeuta lo invita ad affermarlo, accrescerlo e ad evitare di nascondersi per non vederlo. Questo conduce a una consapevolezza che rende poi possibile il cambiamento.

raffina
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mi permetto di segnalare questo link (se non potevo permettermi cancellatelo pure) per ulteriori chiarimenti sulla gestalt:
http://www.scuolagestaltditorino.org/pa ... estalt.htm

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stell
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conoscete gli approcci biosistemico relazionale di bologna
e di psicoterapia funzionale di napoli pavia e padova?
in particolare per quest'ultima sapete di quali tecniche si avvalgono?

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Sandra
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Messaggio da Sandra »

ciao stell
hai provato a guardare questi link?

http://www.psicologia-psicoterapia.it/s ... apoli.html
http://www.psicologia-psicoterapia.it/i ... apoli.html
http://www.bodyfunctionalpsychotherapy. ... Funzionale
http://www.psicologia-psicoterapia.it/a ... lismo.html
http://www.psicologia-psicoterapia.it/s ... logna.html

Personalmente non li conosco
e non sono a conoscenza se queste scuole di specialità abbiano ricevuto l'autorizzazione dal MURST per esercitare la psicoterapia e formare psicoterapeuti, requisito fondamentale di serietà e affidabilità.

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stell
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si ce l'hanno l'autorizzazione
conosco i siti speravo potessi dirmi un pochino di più o magari conoscessi qualcuno che li ha frequentati
grazie comunque sei stata carina!

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santabarbara
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fantastico! mi stampo tutto!

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